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La nuova porta della Cappella delle Reliquie

Pur temendo il paragone, ardito certamente, oggi 8 dicembre 2015 in coincidenza con l’apertura della Porta del Santa nella Basilica di San Pietro in Vaticano per l’Anno giubilare straordinario della Misericordia, la Cappella delle Reliquie in Curia generale si arricchisce della nuova Porta di ingresso, opera di un artigiano di Città di Casrtello.

Già molto si è scritto intorno alla Porta o al Portale di ingresso di ogni cattedrale, molto che si può riassumere nel ricordare che essa è icona di Cristo, essendosi egli stesso proclamatosi vera porta dell’ovile: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me sarà salvato” (Gv 10,9).

È d’obbligo precisare che i termini “portale” e “porta”, hanno nella loro radice latina porta e in quella greca πορóς, il termine di passaggio e il medesimo significato di luogo di passaggio da una realtà all’altra e, contemporaneamente, luogo di confine che stabilisce l’accoglienza o l’esclusione.

Nella porta, Romano Guardini nella sua opera “Lo Spirito della Liturgia. I Santi Segni” (Brescia 1997, 147), scorge la funzione di narrare, annunciare e allo stesso tempo ostentare le realtà altre, che stanno cioè al di là, nel già. La porta, “sta tra l’esterno e l’interno; tra ciò che appartiene al mondo e ciò che è consacrato a Dio”, scrive Guardiani, “quando uno la varca, lascia fuori quello che non appartiene all’interno, pensieri, desideri, preoccupazioni, curiosità, leggerezze. Tutto ciò che non è consacrato, lascialo fuori. Fatti puro, tu entri nel santuario”.

La porta non è un semplice uscio, non è neppure un elemento generico o meramente utilitaristico, è elemento di intensa suggestione e di forza simbolica. Essa è luogo liturgico che nella sua ampia e ricca simbologia stabilisce l’accoglienza o l’esclusione: aperta indica la possibilità offerta all’uomo di accedere al Mistero, chiusa esprime l’idea di proteggere chi è dentro.

Allo stesso tempo la porta diventa narrazione di eventi dell’antica e nuova alleanza; eventi che troveranno il loro pieno compimento in Cristo, Signore dell’universo, del presente e del futuro, dello ieri e dell’oggi già domani. La porta dunque è annuncio del kerigma perché a Lui, a Cristo, appartengono il tempo e i secoli, la gloria e il potere in eterno. (Cfr. Liturgia del Cero nella veglia pasquale).

Nella porta è racchiuso un patrimonio di fede e di arte e se, materiali e fogge possono pur mutare, come sono mutati nel tempo, l’emergenza del segno deve continuare a offrire il suo nativo senso di essere elemento significativo del Cristo, porta del gregge, conformemente al dettato evangelico.

Un cristiano in uscita o una Chiesa in uscita, secondo l’espressione di papa Francesco, non può andare per il mondo se prima non è entrato e entrato per la porta del gregge. Non si può essere in uscita se prima non si è oltrepassata la soglia entrando nel Mistero di Cristo. Il rischio se ciò non avviene è quello di portare al mondo sé stessi o un idea sociologica di annuncio e di liberazione, un qualcosa che non nasce dalla fede in Gesù Cristo, non ha la carità del Padre e non può offrire la speranza che viene dalla vita nello Spirito Santo.

La porta dunque ci introduce nel Mistero e ci permette di uscire nel mondo profumati del buon odore di Cristo. Entrare e uscire per la porta non è allora un semplice fatto meccanico è luogo teologico che fa risplendere nel mondo quella bellezza che è Cristo e quella buona notizia dell’Amore e della Misericordia di Dio per l’intera creazione, uomini e bestie.

Introdotti per la porta del gregge nel luogo del Mistero, questa deve essere bella perché Cristo non è solo il buon pastore, ma è la bellezza, il bel pastore che invaghisce il cuore, secondo l’espressione di Giovanni Paolo II nella Novo Millennio Ineunte e fa innamorare. Perché solo l’Amore muove e fa vivere!