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“Genealogia di Gesù Cristo…” (Mt 1,1-17): storie della Storia del mondo

Ricordo che da bambino quando il parroco della mia parrocchia leggeva questo brano evangelico, noi ragazzetti, che eravamo in chiesa, sorridevamo: ci sembrava buffa questa lunga “litania” di nomi, per la maggior parte incomprensibili e addirittura un po’ ridicoli.

In realtà con il tempo ho compreso che questa “litania” non è altro che un’immagine limpida dell’umanità, disseminata nel tempo e nello spazio, fatta di uomini e donne diverse, e non così distanti da noi: re e gente del popolo; uomini pieni di sé, affascinati dal potere e persone umili; giusti e ingiusti; santi e peccatori; gente interiormente complicata e persone pure di cuore.

Nella diversità, vi è tuttavia un aspetto, che accomuna tutti: tutti generano! Dove il generare – lo sappiamo - non è un atto banale. “Generare” è il modo di esistere di Dio ed è la prima chiamata che l’uomo ha ricevuto, affinché ciascuno, con la propria cura ed il proprio lavoro, potesse proseguire la stessa opera di Dio, la creazione: “Siate fecondi e moltiplicatevi. Riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra” (Gen 1,28).
L’uomo che genera è dunque l’uomo che esprime il suo inguaribile desiderio di compimento, a prescindere da com’è, da ciò che sa fare, da ciò che ha saputo fare. Un desiderio che Dio, d’altra parte, non manderà deluso: Gesù sta lì, in fondo, o meglio, al vertice delle storie di tutti e di ciascuno, proprio a ricordare, che ogni nostra fatica nel generare l’immagine di Dio in noi, non andrà perduta. Se non altro sarà lui, dalla posizione scelta, quella tra l’uomo e Dio, ad aggiungere e completare il cammino che ogni esser umano non sarà stato capace di compiere.
Ma c’è anche un secondo aspetto, che il tempo mi ha donato di comprendere. Una vera e propria stranezza, che spesso contraddice un certo modo di fare ecclesiale, per cui chi sbaglia, sovente, è relegato nell’oblio del silenzio. Nella lunga lista degli avi di Gesù, infatti, ci sono anche persone moralmente e giuridicamente discutibili, che la Scrittura – direi incomprensibilmente - non fa niente per nascondere. Pare proprio che Dio non abbia archivi segreti nei quali confinare le brutture e le storture dell’umanità. Le lascia lì, sotto gli occhi di tutti e soprattutto sotto i suoi occhi, per non dimenticare che guardare primariamente l’uomo attraverso gli occhiali della legge, del bene e del male, del bello o del brutto, dell’efficienza, alla fine è una grande tentazione. In verità ogni uomo ha il diritto, in primo luogo, di essere guardato, non con “occhiali”, bensì con gli “occhi” dell’esserci, dell’essere figlio e dunque dell’amabilità, perché un figlio, sia come sia, è sempre fatto per essere amato. Dio ci tiene tutti in bella vista, perché tutti abbiamo bisogno di essere amati, con buona pace di chi pensa che nella vita si debba o si possa solo dare: nella vita non esistono fenomeni! L’uomo - ci ricorda Benedetto XVI - non può solamente donare, deve anche ricevere (Deus caritas est 7)!
A questo proposito, mi piace ricordare ciò come scrive un giovane cantautore italiano contemporaneo, in una sua canzone, a proposito di come è fatto l’uomo: “Hai mai fatto l’amore con gli occhi? Io sì, ci ho letto dentro, e ho visto tutte le paure dentro un palloncino, che stavano per scoppiare, ma la mia mano, stretta al filo, quel giorno, le ha lasciate andare” (Matteo Faustini, Nel bene e nel male). Nella bellezza, che ogni uomo è, vi sono anche tanti palloncini pieni delle proprie paure, incertezze, resistenze, complessità, tutti stretti nelle mani di ciascuno e magari pronti a scoppiare. Palloncini che stanno lì, spesso in balia degli eventi, difficilmente controllabili, eppure pur sempre in attesa, che timidi gesti di amore paterno e fraterno, diano ai loro “carcerieri”, la forza benedetta di aprire finalmente le mani, per essere rapiti lontano.
Fra. Piero Vivoli Ofm Cap.,  Economo Generale, Curia Generale, Roma

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