Ordo Fratrum Minorum Capuccinorum IT

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updated 4:51 PM UTC, Apr 18, 2024

Verso Fatima: Incontro dei Ministri di tutta Europa

CENOC e CIC

La vita di non poche Province europee – mi riferisco in particolare a quelle della CENOC e della CIC – è stata segnata negli ultimi decenni dal faticoso processo di ridimensionamento delle nostre presenze. Abbiamo chiuso e lasciato luoghi con oltre 400 anni di presenza e il processo non dà segni di arresto. La mancanza endemica di nuove vocazioni – questa dura ormai da più decenni – ha comportato un forte invecchiamento delle nostre fila. È diventato assai difficile trovare chi possa svolgere il compito di guardiano e sono venute a mancare le forze attive nella pastorale e in altri campi. L'impegno profuso nel garantire ai nostri confratelli anziani e ammalati luoghi dove poter trascorrere sereni gli anni della vecchiaia e prestare loro le cure necessarie ha richiesto uno sforzo notevole e sappiamo che continuerà ad essere così ancora per lungo tempo. L'attenzione rivolta ai frati anziani e bisognosi di cure rappresenta certamente un aspetto bello e luminoso della nostra testimonianza. Inoltre siamo praticamente nell'impossibilità di inviare nuovi frati in missione; al contrario, abbiamo iniziato ad accogliere fratelli provenienti da quelle parti dell'Ordine dove il numero di vocazioni è in continua crescita.

Dal punto di vista numerico la CENOC nell'anno 2000 contava 1132 frati, mentre oggi sono ancora 855, con una diminuzione di 277 unità. 5 Province contano un'età media sopra i 70 anni, fino a sfiorare gli ottanta con il 79,27% dell'Olanda. Mentre la CIC è passata da 539 frati nel 2000 ai 359 attuali, con una diminuzione pari a 180 frati. La provincia di Spagna conta un'età media superiore ai 70 anni (73,60), mentre quella di Catalogna vi è molto vicina (69,35).

CIMPCAP

L'Italia merita di essere citata a parte, perché vi sono circoscrizioni che continuano ad avere un discreto numero di vocazioni e guardano al futuro con fiducia. Altre, invece, sperimentano la fatica dovuta all'invecchiamento e sono alle prese con il non facile processo del ridimensionamento. Per alcune si può affermare che sono del tutto paragonabili a quanto stanno vivendo i frati delle due Conferenze menzionate sopra. In Italia sono in atto dei processi di collaborazione tra vari gruppi di Province sia sul piano della formazione iniziale che di quella permanente. Essi sono assai promettenti perché permettono ai giovani che abbracciano la nostra vita di compiere il cammino formativo in compagnia di altri giovani e di avere un gruppo di formatori ben preparati. Inoltre, nell'ambito della formazione permanente, i frati dispongono di una gamma molto vasta di proposte per nutrire ed arricchire la loro vita di consacrati. Sono certo che da queste collaborazioni nasceranno col tempo anche nuove forme di aggregazione tra le Province della penisola.

Dal punto di vista numerico, senza contare i membri delle custodie provinciali in Africa, la CIMPCAP nell'anno 2000 contava 2607 frati e ora sono 2027, con una diminuzione pari a 580 frati. La maggior parte delle Province italiane hanno un'età media che supera i 60 anni, 4 di loro hanno un'età media tra i 50 e i 60 anni.

CECOC

Il quadro che ho cercato di disegnare fino a questo punto non ci tocca tutti alla stessa maniera. I paesi dell'Europa centro-orientale godono di una situazione che continua ad essere confortevole e ricca di promesse. Le due Province polacche, in particolare, sono venute incontro alle necessità di alcune Province europee e continuano a sostenere il lavoro missionario nel Gabon e in Ciad e R.C.A. Il numero dei frati, dall'inizio del secolo a tutt'oggi, è rimasto pressoché costante. Non si assiste più, tuttavia, ad una crescita numerica forte. Sarete voi fratelli della CECOC a dirci come vanno le cose in seno alla vostra Conferenza, a parlarci delle gioie e delle fatiche, che provvidenzialmente accompagnano ogni cammino.

I frati della CECOC nel 2000 erano 783, mentre a tutt'oggi sono 759, con una diminuzione pari a 24 frati. La Provincia con l'età media più alta è la Slovenia con 56,7, mentre la più giovane è la Romania con 34.89.

Destinati a scomparire?

Per un buon numero di Province, qualora la tendenza dovesse rimanere quella che conosciamo da anni - e non mi pare vi siano segni di un cambiamento all'orizzonte - la prospettiva a medio termine è la sparizione. Non credo sia questo il momento di lasciar cadere le braccia e di rassegnarci ad un lento, ma irreversibile processo di morte. Siamo chiamati a considerare tutto ciò con sano realismo, ma non meno con occhi nuovi, con occhi di fede. Il Signore ci ha chiamato a vivere la nostra consacrazione in questo scorcio di tempo, alla fine del secondo millennio e all'inizio del terzo. Il che significa che siamo chiamati a testimoniare il nostro carisma oggi, perciò stesso a rendere tutti partecipi del nostro dono. Non si tratta quindi di voler invertire la tendenza, perché ciò starebbe a dire che nostalgicamente vogliamo ritornare ad essere numerosi e influenti come lo eravamo un tempo. Nel giro degli ultimi cinquant'anni le nostre società e il vissuto stesso delle chiese locali è radicalmente cambiato. Siamo entrati nell'epoca del postmoderno e del digitale e stiamo uscendo definitivamente da quello che viene chiamato comunemente il "regime di cristianità". Già nell'ormai lontano 1969, Papa Benedetto XVI, affermava che la Chiesa avrebbe vissuto una crisi profonda, che l'avrebbe portata a essere talmente piccola da non essere più in grado di abitare gli edifici che ha costruito in tempi di prosperità. Inoltre con il diminuire dei suoi fedeli avrebbe perso anche gran parte dei privilegi sociali. La chiusura di tante chiese e la ricerca di nuove destinazioni per esse è un fatto che preoccupa molti vescovi europei. Lo stesso fenomeno l'ho constato presente drammaticamente anche in Québec.

Una religione senza Dio

Il fenomeno della secolarizzazione non ha certo fatto sparire la religiosità e la ricerca spirituale in gran parte della popolazione, solo che queste orientano la loro ricerca verso altri orizzonti che non siano necessariamente quelli proposti dalle nostre chiese. Sta prendendo piede la convinzione che la religione può benissimo fare a meno di Dio, anzi, che la religiosità è più profonda di Dio. É quanto viene teorizzato dal filosofo americano Ronald Dworkin nel suo libro, Religion without God (2013) . In questo caso è il sentimento religioso a prevalere su tutto e non esistono parametri oggettivi che si richiamano ad una tradizione plurisecolare avente a monte una rivelazione. Gesù rimane un soggetto interessante e per certi versi anche geniale, ma non la Parola per eccellenza, la pietra angolare di tutto ciò che è stato tramandato. In questo caso la buona novella consiste nel proclamare che l'ateismo è fonte di libertà e ti permette finalmente di vedere e godere di tutta la bellezza della vita. Siamo ben oltre lo slogan in voga alcuni anni fa: "Cristo sì, chiesa no!". Oggi lo slogan va decisamente verso l'affermazione: "Religione sì, Dio no!"

Un dono per il popolo di Dio

Ma ancora una volta ciò che importa è soprattutto con quale atteggiamento intendiamo vivere questo preciso momento. Continuiamo a credere che la vita consacrata, quindi anche la nostra di cappuccini, è un dono per il Popolo di Dio in cammino (Papa Francesco)! Dobbiamo gridare al mondo che Dio ci ama, che la vita è bella e degna di essere vissuta in pienezza, dall'inizio alla fine. Non mancano certo le difficoltà, ma queste fanno parte integrante della vita di tutti. Ci fanno crescere, sempre che decidiamo di trasformarle in opportunità. D'altronde non possiamo essere depressi, scoraggiati, senza speranza, perché viviamo della certezza che ci viene da una promessa: "Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo." (Mt 28, 20) Siamo chiamati piuttosto a contagiare gli altri con la gioia, ad essere ottimisti perché annunciamo la vita, l'esplosione della vita, quella del Cristo Risorto: "di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra" (At 1, 8). Siamo chiamati a vivere questo mentre stiamo diminuendo fortemente di numero e non avendo se non pochissime vocazioni. Un attento osservatore della natura sa che i colori del tramonto non sono meno belli dei colori dell'aurora. Pensiamo con serenità anche alla possibile scomparsa dei cappuccini da qualche regione del mondo, sapendo che la possibilità di una sua fine non è una bestemmia. Amiamo la nostra Provincia con il nostro carisma e viviamo in modo che possa essere conosciuto e apprezzato. Non ci preoccupa l'idea di morire come persone o come Province. Ci deve stare a cuore piuttosto di morire bene, in piedi, lasciando una scia luminosa.

Anticipare l'aurora

Essendo più di diecimila frati cappuccini nel mondo, abbiamo certamente la possibilità di tentare nuove vie per continuare a garantire la presenza del nostro carisma anche in queste terre di Europa dove la presenza dei cappuccini è minacciata di morte. Roger Schutz, il fondatore della comunità monastica di Taizé, amava ripetere che il compito della vita religiosa è di anticipare l'aurora. Oggi essere profetici significa creare fraternità internazionali e interculturali che praticano la globalizzazione con la presenza di bianchi, neri e gialli. Non sarà sempre facile integrare culture diverse, ma ciò che ci accomuna, la fede e il carisma, è molto più forte di ciò che ci distingue.

Persone toccate da Dio

Queste fraternità sono chiamate a vivere in società che stanno conoscendo una vera e propria eclissi di Dio . Abbiamo sovente sulla labbra il nome di Dio, parliamo di Lui a proposito e a sproposito, e fatichiamo a renderci conto che attorno a noi si sta creando un vuoto. Molti sono coloro che oggigiorno non sono più in grado di cogliere a chi si riferisca questo nome (Dio) e perciò per loro rimane privo di senso. Mi pare valga la pena riprendere una citazione di Papa Benedetto, il quale nel 2005 affermava: "Sono uomini e donne che attraverso una fede illuminata e vissuta, rendono Dio credibile in questo mondo. Donne e uomini che tengano lo sguardo diritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità, soltanto da queste persone toccate da Dio, Dio può fare ritorno presso gli uomini" . Indirettamente, Papa Ratzinger afferma che Dio ha bisogno di tali uomini e donne per far ritorno presso gli uomini. E questo mi fa ripensare a quella intuizione finissima e oltremodo perspicace da parte di Etty Hillesum, che prometteva a Dio che gli avrebbe comunque riservato un posticino nel suo cuore. Di fronte all'avanzare dell'orrore nazista, nel 1942, scriveva: "Ti aiuterò, Dio, a non spezzarti in me, ma non posso garantire nulla da ora in poi. Una cosa, però, mi si fa sempre più chiara: che tu non ci puoi aiutare, ma siamo noi che dobbiamo aiutare te e facendo questo, alla fine, aiutiamo noi stessi. E questo è l'unica cosa che in questo periodo possiamo salvare, ed è l'unica cosa, questa, che davvero importi: un pezzo di te in noi stessi, Dio."

"Tu sei santo, tu che abiti nelle lodi di Israele"

La domanda oggi, allora, diventa: se vogliamo impegnarci anche noi in modo rinnovato a mantenere vivo questo posto per Dio nel nostro modo di essere, di vivere e di pregare. Ultimamente, durante il Sinodo, mi ha molto colpito il quarto versetto del Salmo 22, nella sua dicitura latina: "Tu autem sanctus es, qui habitas in laudibus Israel." Non mi pare che la traduzione ufficiale italiana e altre rispettino pienamente quanto pare essere la versione letterale dal testo ebraico. Di fatti, un conto è dire: "Tu che abiti nelle lodi di Israele" oppure "Tu siedi in trono fra le lodi di Israele". "Tu abiti nelle lodi di Israele" apre una prospettiva di grande responsabilità e bellezza per tutti noi. In un certo senso, per quanto possa sembrare paradossale, ciò sta a dire che il nostro pronunciare il nome di Dio nella lode, non solo lo raggiunge ma lo fa anche vivere, vibrare, apparire. Non esiste unicamente il potere di Dio su di noi, ma anche un nostro potere nei suoi confronti. Letteralmente, allora, è Dio che dipende da noi. Per Papa Benedetto il suo ritorno in mezzo agli uomini dipenderà da persone che si sono lasciate toccare da Lui. In questa scia assume nuova luce e urgenza l'invito che San Francesco rivolge a tutti gli ascoltatori del Cantico: "Laudate e benedicete mi' Signore e rengraziate e serviateli cum grande humilitate" (FF 263). In questo, Francesco coglie pienamente il primato della lode, quella che Paul Beauchamp chiama la "grammatica elementare della preghiera" e la cui prima regola consiste in questo: "La lode è l'inizio e la fine di ogni preghiera. La seconda è che la lode e la supplica sono i due elementi che, essi soli, sono sufficienti a descrivere la totalità della preghiera" .

La tensione verso Dio

Rino Cozza afferma nel suo libro su Nuovi orizzonti per la vita religiosa: "L'odierna difficoltà della vita religiosa è soprattutto quella di rispondere alla domanda su Dio... Il punto di partenza, ma non meno di arrivo, è di essere riconosciuti non per il numero di preghiere ma per l'esperienza di preghiera" . San Francesco nella Regola invita i suoi frati a "desiderare sopra ogni cosa di avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione" . E le nostre Costituzioni al nr. 45,8 recitano: "Desiderando sopra tutte le cose lo Spirito del Signore e la sua santa operazione, pregando sempre Dio con cuore puro, rendiamo agli uomini la testimonianza di una preghiera autentica, così che tutti vedano e sperimentino nel nostro volto e nella vita delle nostre fraternità il riflesso della bontà e della benignità di Dio presente nel mondo". Si tratta di una esortazione molto bella, mi permetto comunque, di affiancarle un'altra affermazione fatta da Cozza: "La vita religiosa ha perduto la capacità di dare senso al suo stare nel mondo, che dovrebbe essere dato principalmente da rendere credibile che l'uomo è capace di Dio" . Dove viene a mancare la tensione verso Dio, tutto si appiattisce! Essendo anche noi figli del nostro tempo è più che mai possibile che non ci rendiamo sufficientemente conto dei passaggi che sono in atto. Mi riferisco in particolare al passaggio da un regime di cristianità, dove i riferimenti a Dio erano frequenti ed onnipresenti e, proprio per questo, arrischiavano di diventare obsoleti, ad un mondo che semplicemente lo ignora. Tutto ciò non è senza conseguenze e così viviamo in un tempo dove aumenta il numero delle persone che vivono senza riferirsi a Dio o che non Lo conoscono affatto. Può darsi che tutto ciò ci abbia colti impreparati e di conseguenza finiamo per deplorare questo dato di cose, senza renderci conto che i nostri contemporanei hanno bisogno di ben altro, di persone cioè che li aiutino a desiderare la Sua presenza, ad avvicinarsi a Lui e farsi da Lui avvicinare. Credo che di questi tempi siano più necessari coloro che parlano a Lui, Lo cantano, Lo attendono con passione, che non coloro che lo predicano.

Testimoni del primato di Dio

Francesco dapprima si è lasciato evangelizzare profondamente e questo lo ha portato ad avere una consapevolezza acuta della grandezza e della bontà di Dio: "Tu sei il bene, tutto il bene, il sommo bene!" Il suo amore per ogni creatura nasce dalla profonda convinzione che ogni cosa, animata o inanimata, ha la sua origine in Dio. Tutto ci è stato da Lui donato e va accolto con cura e somma gratitudine. Ciò di cui abbiamo maggior bisogno oggi in Europa, sono fraternità che vivono e testimoniano il primato di Dio nella nostra vita. Fraternità che lo fanno abitare nelle loro lodi: "tue sono le laudi, la gloria, l'onore e ogni benedizione!"

Il nostro modo di evangelizzare

In questo senso credo che si tratti di iscrivere ogni nostro intento di rinnovamento nel processo di nuova evangelizzazione, dove a primeggiare è la proposta positiva e non la condanna . Dobbiamo farlo insieme. Sono necessari frati che non abbiano paura di provare qualcosa di nuovo, che sappiano lasciare i sentieri battuti e sicuri di un tempo, per metterci su sentieri non ancora battuti, per aprire nuove vie. Mi stanno bene le parrocchie e le tante attività pastorali di tipo tradizionale, ma ciò di cui oggi abbiamo maggiormente bisogno è qualcosa d'altro: fraternità che testimonino nella semplicità la bellezza dello stare davanti a Dio per lodarlo e servirlo e che non abbiano paura di andare verso i poveri e gli emarginati delle nostre società benestanti. Se invece intendiamo concentrarci in primo luogo in attività pastorali di tipo tradizionale, arrischiamo di chiuderci in un ghetto e di servire solo quelli che sono rimasti. Nella parabola della pecora smarrita Gesù non invita a starsene in attesa che ritorni, ma invita a mettersi alla ricerca, a diventare attivi. Lo stesso discorso vale per la ricerca della moneta perduta: la donna accende la lampada, spazza la casa e cerca accuratamente fino a che non l'abbia ritrovata (Luca 15).

La collaborazione fraterna tra circoscrizioni

Prima ancora di aver ascoltato le testimonianze di come stanno vivendo la dimensione dell'internazionalità le sorelle francescane missionarie di Maria, i frati francescani di Palestrina ed i nostri cappuccini di Clermont Ferrand, è giunto il momento di entrare in modo più circostanziato in questa proposta e di iniziare a precisarne i contorni. Da alcuni anni in qua abbiamo dato inizio a quella che un tempo chiamavamo "La solidarietà di personale" e che il Capitolo generale di due anni fa ha preferito chiamare "Collaborazione fraterna fra le circoscrizioni" . Diverse circoscrizioni, specialmente in seno alla CENOC, stanno sperimentando questa realtà: penso in particolare a Austria, Svizzera, Germania, Francia, Belgio e Inghilterra. Anche in seno alla CIMPCAP si registrano inizi di collaborazione in questo senso. Come sta andando l'esperienza? Discretamente bene, ma è anche chiaro che si riscontrano alcune difficoltà dovute in primo luogo alla differenza di mentalità e di prassi pastorale. Va detto, inoltre, che le aspettative di chi giunge in Europa per inserirsi in una nuova realtà il più delle volte sono diverse da quelle di coloro che accolgono questi fratelli. Non è nemmeno da sottovalutare il conflitto generazionale, in quanto chi accoglie è segnato per lo più da età avanzata, mentre chi giunge a noi da altri Continenti è molto giovane. Dai frati venuti da fuori si esige che imparino e bene una nuova lingua, che acquisiscano dimestichezza con mentalità nuove e anche con modi diversi di vivere la nostra vita cappuccina e di praticare la pastorale. In genere siamo molto più esigenti nel chiedere spirito di adattamento a coloro che vengono da fuori, che non da coloro che accolgono. Si è detto più volte che i frati venuti in Europa nell'ambito della collaborazione fraterna non dovrebbero essere considerati alla stregua di tappabuchi. Questo è certamente vero, ma non sempre viene interpretato in modo corretto. Dietro a questa affermazione si cela l'aspettativa che questi frati siano in grado di proporre e promuovere progetti nuovi, progetti che nemmeno noi siamo stati in grado di formulare e tanto meno di realizzare. Mi sembra naturale che in un primo tempo, una volta imparata sufficientemente la lingua, questi fratelli vengano inseriti in un tipo di lavoro pastorale piuttosto tradizionale come la celebrazione dei sacramenti, la pastorale degli infermi e di altri gruppi. E mi sembra pure auspicabile che, a seconda della necessità, essi si dedichino ai fedeli provenienti dai loro paesi di origine, che non trovano un'attenzione adeguata da parte delle chiese locali. Comunque sia, i nostri frati venuti da fuori si rendono conto abbastanza in fretta che la prassi pastorale applicata nei loro Paesi di origine non riscuote la stessa rispondenza nell'ambito in cui sono chiamati ad operare oggi. Rimane certamente molto da fare per raggiungere una migliore integrazione reciproca, eppure mi sento di affermare che questi primi tentativi sono carichi di speranza.

La richiesta di poter assumere la cura di parrocchie

Di fronte alle difficoltà sperimentate finora nell'ambito della collaborazione tra circoscrizioni e nell'intento di trovare nuove possibilità per rendere le proprie circoscrizioni finanziariamente indipendenti, da diverse parti, specialmente dall'India e dal Madagascar, si è fatta insistente la richiesta di poter assumere in proprio la cura di parrocchie in Europa. Finora la risposta da parte mia e del Consiglio generale è stata negativa, ma ci rendiamo perfettamente conto che siamo chiamati a trovare soluzioni che permettano ai nostri fratelli indiani o malgasci di fare questa esperienza e che questa ha bisogno di un quadro giuridico condiviso da tutte le parti interessate, in particolar modo anche da parte delle circoscrizioni sul territorio delle quali verrebbero a stabilirsi questi nostri fratelli. Concretamente si tratta di vedere se intendiamo inserirli nell'ambito della "Collaborazione fraterna fra le circoscrizioni" oppure se considerarle come case di presenza dipendenti direttamente dal Ministro provinciale che li invia.
Ritengo interessante riferire qui un fatto concreto. Un frate della Provincia di San Giuseppe in India ha dichiarato la disponibilità della sua Provincia ad assumere responsabilità parrocchiali ai responsabili della diocesi di Friburgo in Brisgovia, nel sud della Germania. Al che, a nome dell'arcivescovo venne inviata una lettera al ministro provinciale, affermando che la diocesi era interessata in primo luogo al fatto che un gruppo di frati prendesse in mano uno dei luoghi lasciati dai cappuccini o da altri religiosi per garantire così la continuità di presenze religiose ritenute particolarmente importanti per la vita della diocesi. Mi pare interessante far notare come in questo caso il vescovo diocesano faccia una proposta volta a mantenere presenze di comunità religiose che garantiscano un tipo di presenza, e accenni affatto all'assunzione in proprio della responsabilità per una o più parrocchie.

Fraternità interculturali

Per conto mio, la collaborazione fraterna fra le circoscrizioni deve continuare e consolidarsi nel tempo, tuttavia sono anche convinto che siamo chiamati a tentare ancora altre strade. Non basta coinvolgere i nostri confratelli indiani per dare ossigeno e nuova speranza per la presenta cappuccina in Europa, credo invece che è in primo luogo l'Europa stessa che deve mobilitarsi. È vero che anche tra di noi, da Paese a Paese, da Provincia a Provincia, ci sono molte differenze, eppure credo che in questo momento siamo chiamati a puntare decisamente su di un comune progetto di evangelizzazione che veda coinvolti frati di tutte le circoscrizioni europee oltre a frati provenienti dai continenti dove le vocazioni sono abbondanti. Oggi è più facile motivare un giovane frate italiano (ma potrei parlare anche di altri Paesi) ad impegnarsi in un progetto di nuova evangelizzazione in Europa che non proporgli di partire come missionario per la Cina o per qualche Paese africano. Questa disponibilità va valorizzata pienamente per farne qualcosa di nuovo per l'Europa. Sentiremo domani cosa sta avvenendo a Clermont Ferrand e sentirete che è possibile vivere insieme in tutta semplicità fratelli francesi di varie età con frati provenienti dall'Italia. Queste fraternità dovranno, come dicevo sopra, concentrarsi a vivere una vita semplice, centrata sull'essenziale e ad essere anzitutto luoghi dove si viva e si testimoni la tensione verso Dio in modo semplice e gioioso. Abbiamo bisogno di fraternità che testimonino che è possibile vivere insieme pur provenendo da contesti culturali assai diversi e credo che di questo la nostra Europa abbia urgente bisogno. Lo dico sullo sfondo della crescita dei partiti a sfondo xenofobo in molti dei nostri Paesi. Oggi siamo capaci di fissare su di un chip microscopico un'infinità di informazioni, ma non siamo capaci di garantire pace e giustizia per tutti ovunque. Questo deve mobilitarci a dare la testimonianza che in nome di Gesù Cristo e di San Francesco d'Assisi ciò è possibile anzitutto fra di noi e poi negli ambienti dove viviamo.

Premesse

Per realizzare un tale tipo di progetto evangelizzatore debbono essere date alcune condizioni fondamentali:

  1. La prima premessa consiste nel senso di responsabilità fraterna di tutti nei confronti di tutti come frati cappuccini.
  2. Ci vogliono delle circoscrizioni che siano disposte ad accogliere questo tipo di progetto con un'adesione convinta. Esse dovranno segnalarci i luoghi dove queste fraternità potranno installarsi, possibilmente nel cuore delle città.
  3. Da parte di tutti si esige la disponibilità a superare il provincialismo per adottare una visione più ampia, essendo consapevoli che siamo chiamati tutti quanti a contribuire alla realizzazione di questo progetto di evangelizzazione da cappuccini.
  4. Inoltre, la realizzazione di questo progetto dipenderà dalla capacità di rinuncia da parte di tutti, rinuncia che dovrà tradursi praticamente nell'accelerare i processi di ridimensionamento in seno alle varie circoscrizioni.
  5. Da qualche parte dovremo disporci a morire come provincia e ad accettare che nasca qualcosa di nuovo, perché non si tratta più di salvare istituzioni, ma di cominciare da capo, senza per questo entrare in competizione con quanto ancora esiste.
  6. Prepariamoci a mettere a disposizioni i frati migliori, persone capaci di vivere relazioni mature e che non temono di cimentarsi in un progetto esigente.
  7. Prevediamo inoltre, se necessario, uno statuto particolare per queste fraternità, facendole dipendere direttamente dal Ministro Generale e suo Consiglio.
  8. Creiamo una equipe che accompagni queste fraternità e le metta in stretta relazione tra di loro.
  9. Prevediamo, inoltre, nuovi cammini di formazioni per coloro che chiederanno di abbracciare la nostra vita a partire dall'incontro con queste fraternità.

Conclusione

Credo sia assolutamente giunto il momento di osare qualcosa di nuovo e di metterci in cammino con molta fiducia. Sono contento di poter dire che consacreremo la giornata di domani a fare la conoscenza di progetti che già vanno in questa direzione ed avremo pure l'opportunità di addentrarci maggiormente nella tematica di come la secolarizzazione stia segnando fortemente il Continente europeo. Può darsi che ci sentiamo come i tre pastorelli di Fatima al momento in cui apparve loro la Madonna e affidò loro una missione. Chissà quanta paura, eppure lo hanno fatto e noi siamo qui, proprio e in primo luogo, grazie al loro coraggio.
L'icona che deve ispirarci è quella della giovane donna di Nazaret, che avendo saputo dall'angelo Gabriele che la sua parente Elisabetta, nella sua vecchia, aveva concepito un figlio, si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa in una città di Giuda per rimanere con lei per circa tre mesi. Nel nostro caso si tratterà di partire con lo stesso entusiasmo e la permanenza si protrarrà certamente ben oltre i tre mesi!

Fatima, 02 dicembre 2014
fr. Mauro Jöhri,
Ministro Generale OFMCap.

Ultima modifica il Giovedì, 08 Gennaio 2015 09:13