Ordo Fratrum Minorum Capuccinorum IT

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fr. Wiesław Block

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Sussidi per le Costituzioni

dei Frati Minori Cappuccini 

A.D. 2022

Capitolo quarto delle Costituzioni

La nostra vita in povertà

di fr. Wiesław Block

Introduzione

Francesco di Assisi dimostrava un continuo stupore per la bellezza di creato e del suo Creatore. Vedeva con lo sguardo del cuore che la umiltà di Dio, la sua pazienza e misericordia si manifestano soprattutto nel mistero della incarnazione e della passione. Innamorato del Cristo povero e umile, ha fatto sua la strada della povertà evangelica. Non voleva altro che seguire Gesù Cristo perché «il Signore per noi si è fatto povero in questo mondo» (Rb 6, 4). Seguendo le orme del Signore, il Serafico Padre coltivava nel suo cuore la semplicità e umiltà. Era sempre aperto e vicino ai poveri e i deboli, condividendo la loro vita[1]. In adesione alla genuina intuizione del fondatore, le Costituzioni nel capitolo quarto descrivono come i cappuccini desiderano seguire la povertà del Signore Gesù Cristo, quali mezzi e strumenti vogliono adottare per essere fedeli alla loro vocazione e all’ideale evangelico del Santo di Assisi.

La struttura del capitolo IV

Il capitolo quarto, intitolato La nostra vita in povertà, è composto da quattro articoli, mantenendo la struttura delle precedenti costituzioni (Cost. 2002):

art. I: Il nostro impegno di povertà

art. II: La povertà riguardo ai beni e al denaro

art. III: La povertà nelle nostre abitazioni

art. IV: L’amministrazione dei beni. 

All’interno di ogni singolo articolo il contenuto è stato arricchito, modificato o integrato partendo e rispettando il testo delle Costituzioni del 2002[2]. Le due principali fonti di tale arricchimento sono stati due Consigli Plenari dell’Ordine, ambedue celebrati ad Assisi: Vivere la Povertà in Fraternità (VI CPO) del 1998 e La nostra vita fraterna in minorità (VII CPO) del 2004. Poi, anche il I CPO (Quito 1971) è stato di grande utilità, avendo come il tema della sua riflessione: Vita fraterna, povertà e minorità. In tutto il capitolo non mancano i vari riferimenti ai documenti del Magistero della Chiesa. Vengono presi in considerazione: l’Esortazione apostolica post sinodale Vita consecrata (25 marzo 1996), l’Enciclica Sollicitudo rei socialis di Giovanni Paolo II (30 dicembre 1987), il Catechismo della Chiesa Cattolica (11 ottobre 1992), il Compendio della dottrina sociale della Chiesa (26 maggio 2006) e l’Enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI (29 giugno 2009).  Un’altra fonte molto importante sono le lettere circolari dei ministri generali, e soprattutto quelle di fr. John Corriveau: Solidarietà e interdipendenza. Lettera circolare n. 15 (1 novembre 1999) e La fraternità evangelica in un mondo che cambia. Identità, Missione, Animazione. Lettera circolare n. 20 (31 marzo 2002).

Articolo I: Il nostro impegno di povertà (n. 60-65)

Fondamento teologico-spirituale della scelta della vita in povertà per i Frati Cappuccini è il Dio Trinità: “modello di ogni relazione umana e fondamento della nostra vita in povertà e umiltà” (60, 1). Non si tratta di vivere in povertà, perché si rifiutano o si disprezzano i beni materiali, o perché si vuole entrare in una relazione polemica con la odierna mentalità consumistica oppure per essere più vicini ai poveri, ma il principale motivo di tale scelta è “la pura relazione di amore tra le Persone divine” (60, 1). L’amore puro e gratuito diventa forza spirituale che trasforma l’uomo, lo fa pronto a ricevere dal Signore una nuova forma del proprio essere, così che l’uomo diventa una persona aperta e attenta al prossimo, sul quale si china con umiltà e si recepisce come dono[3]. L’amore puro, cioè l’amore trinitario, cerca di essere condiviso, si umilia e soprattutto non pensa a se stesso, ma vuole il bene del altro. 

Della ricchezza dell’amore trinitario l’espressione massima è la persona di Gesù Cristo. “Egli che era ricco, si è fatto povero” (60, 2)[4]. Cristo, infatti si è fatto povero abbassandosi per diventare simile agli uomini e nello stesso momento noi – l’umanità intera, tutti gli uomini – siamo diventati ricchi “per mezzo della sua povertà” (60, 2). All’interno dello stesso articolo le Costituzioni passano dal fondamento trinitario a quello cristologico. L’espressione proposta dal Primo Consiglio Plenario dell’Ordine è stata senza dubbio la base di tale affermazioni: “Noi crediamo che la povertà, come virtù evangelica e francescana, è la partecipazione alle condizioni di spogliamento del Cristo e riguarda più le persone che le cose” (I CPO 46). Il Signore nostro visse tutta la sua vita, partendo dalla umiltà del presepe fino alla morte sulla croce, testimoniando l’amore del Dio Padre (cfr. 60, 3). Le Costituzioni attingono e riconfermano in quel punto la più antica tradizione minoritica, e quella clariana, così infatti la Santa di Assisi, scriveva alla principessa di Praga, Agnese, invitandola a guardare ogni giorno allo Specchio, cioè a tutta la vita di Gesù:  

In questo specchio rifulgono la beata povertà, la santa umiltà e l’ineffabile carità, come potrai contemplare, per grazia di Dio, su tutto lo specchio. Guarda con attenzione – dico – il principio di questo specchio, la povertà di colui che è posto in una mangiatoia e avvolto in pannicelli. O mirabile umiltà, o povertà che dà stupore! Il Re degli angeli, il Signore del cielo e della terra è reclinato in una mangiatoia. Nel mezzo dello specchio poi considera l’umiltà santa, la beata povertà, le fatiche e le pene senza numero che egli sostenne per la redenzione del genere umano. Alla fine dello stesso specchio contempla l’ineffabile carità, per la quale volle patire sull’albero della croce e su di esso morire della morte più vergognosa (4 LAg 18-23).   

Gli ultimi tre paragrafi (60, 4-6) presentano Francesco d’Assisi come “immagine profetica della povertà evangelica” (60, 4) riconosciuta dalla Chiesa come un efficiente modello per tutti coloro che sono interessati oppure già impegnati nella sequela di Cristo. La povertà di Francesco fu “sperimentata nell’umiltà dell’Incarnazione e nella carità della Passione” (60, 5), due virtù – umiltà e carità – che nella descrizione fatta da santa Chiara accompagnavano la vita di Gesù dal presepe fino alla morte sulla croce. L’esemplare scelta del Santo di Assisi significa in pratica “radicale espropriazione di sé” (60, 6) che si trasforma in compassione verso i poveri e i deboli. Il serafico Padre scoprendo il Cristo povero, totalmente espropriato, rimase talmente impressionato ed afferrato da questo puro amore, che coltivava sempre in se stesso un vivo desiderio di conformarsi allo Specchio messo sull’albero della croce (cfr. 4 LAg 23).  

Il seguente numero di questo articolo, n. 61, mette in evidenza che la vita in povertà stimata e voluto dai cappuccini è una risposta alla rivelazione del “puro amore” della Trinità, pienamente vissuta poi da Gesù Cristo e tanto desiderata da frate Francesco. Essa – vita in povertà – deve rimanere sempre in sintonia con la genuina e evangelica intuizione di Francesco: allora il compito dei cappuccini paradossalmente non è quello di vivere in povertà o essere poveri, ma come dicono le costituzioni “seguire la povertà del Signore nostro Gesù Cristo” (61, 1). Tale formulazione cambia molto la prospettiva della compressione del percorso di vita in povertà. Francesco di Assisi non si innamorò della povertà dell’uomo, ma della toccante e affascinante umiltà e solidarietà di Cristo nella sua Incarnazione e Passione[5]. In questo senso la povertà non diventa lo scopo maggiore della vita dei cappuccini, ma uno degli strumenti per una migliore sequela Cristi nella continua ricerca del volto del Padre: “scelta per seguire Cristo, ci rende partecipi della sua relazione filiale verso il Padre” (61, 2). Da qui i paragrafi che seguono non fanno che esplicitare sempre di più il lato pratico della vita in povertà vissuta come sequela Cristi: “semplicità di vita e lieta austerità”, “lavoro assiduo”, essere “fratelli e servi” in mezzo ai piccoli, “non appropriarsi dei doni di natura e di grazia” e “usare i beni temporali con gratitudine” (61, 2-5)[6]. In questo contesto rimangono davvero stimolanti le parole di papa Paolo VI rivolte ai partecipanti al Capitolo Generale dei Frati Minori Cappuccini del 21 ottobre 1968, cito solo alcuni passaggi:  

Avete scelto, Figli carissimi, una via difficile; la via stretta del Vangelo. [...]. Così la vostra tradizione cammina per la via difficile [...], e arriva ai giorni nostri fra lo stupore del mondo, il quale non sa come giustificare il grosso anacronismo, che voi rappresentate in una società animata da ideali in grande parte opposti ai vostri, la quale tuttavia nello stesso tempo subisce ancora, – e in quale misura! – il fascino della vostra inesplicabile sopravvivenza. [...]. La risposta che voi date è questa: perché essa è un tipo di vita perfetta; difficile, sì, ma perfetta; perfetta vuol essere infatti nelle forme della umiltà, della semplicità e della povertà del Vangelo. [...]. Ha bisogno ancora la Chiesa della vostra serena e saggia austerità. Potremmo mai pensare un vero religioso indulgente a superflue e mondane comodità, che s’infiltrano oggi anche nei conventi e nei presbiteri? Corrivo a concedersi svaghi profani e discutibili, col pretesto di dover tutto conoscere, o di poter avvicinare gli uomini di oggi nella loro vissuta realtà fenomenica? Quale prestigio può avere un religioso imbevuto d’esperienza sensibile e privo d’esperienza spirituale, sincera se sofferta? A questo riguardo la vostra povertà, mentre vi apre alla comunione con Cristo nella libertà dello spirito, nella capacità di valutare ogni bene della creazione, nella mondezza disadorna, ma composta della vostra persona, vi concilia la stima, la fiducia, l’ammirazione di quelli stessi che non vi sanno imitare. Per voi la povertà è una forza, è una dignità[7].

            Occorre che la povertà sia vissuta come sobrietà, riducendo le esigenze materiali all’essenzialità di una vita semplice. Il VII CPO invitava i singoli frati e le fraternità, che: “si impegnino in una sincera revisione del nostro stile di vita puntando ad una effettiva solidarietà, evitando inutili sprechi, un esagerato uso delle macchine e di altri mezzi della tecnologia moderna, domandandoci se effettivamente quanto possediamo sia essenziale per la missione che ci deriva dal nostro carisma” (VII CPO 26). 

Lo sguardo delle costituzioni espresso nel numero 63 viene rivolto ai poveri. Il desiderio di vivere da poveri e stare con i poveri fa parte del carisma sin dalle origini della riforma cappuccina. Le prime costituzioni di Eufemia danno tanti esempi e inviti ai frati a vivere con i poveri, condividendo con loro anche le elemosine. Uno di questi proviene del capitolo intitolato: Questua per i poveri in tempo di carestia, mettendo in evidenza esempio del Serafico Padre:

[...], il nostro piissimo Padre che aveva gran compassione dei poveri. Quello che gli era dato per amore di Dio lo voleva solo a questo patto di poterlo dare ai poveri, qualora avesse trovato uno più povero di lui (cfr. Mem 83) (Cost 1536: 85)[8]

Se i frati cappuccini sono stati stimati e apprezzati lungo la loro storia, questo è sicuramente uno dei motivi principali. Si pensi ai tanti frati semplici e poveri, questuanti, predicatori etc. che hanno saputo vivere accanto ad un altro condividendo con loro il poco che avevano. Anche nei tempi moderi questo aspetto è stato considerato essenziale. Il I CPO auspicava, parlando di “nuove fraternità”, che potessero essere un segno profetico e convincente, ad esempio in America latina, vivendo un’effettiva solidarietà con i poveri, rimanendo loro stessi poveri, presenti tra di loro con la propria vita e testimonianza (cfr. I CPO 1 e 4). Il tema è stato ribadito e maggiormente approfondito venticinque anni dopo durante il V CPO, intitolato La nostra presenza profetica nel mondo celebrato a Garibaldi (Brasile). Si diceva allora:

Nell’Ordine una maggiore consapevolezza ha fatto sì che alcuni frati abbiano scelto di vivere tra i poveri, i bisognosi e i sofferenti e ha indotto l’Ordine ad accettare nuovi ministeri in aree povere e tra minoranze. Si sta, pertanto, rinvigorendo la tradizione del nostro Ordine circa la sensibilità verso i poveri e i bisognosi (V CPO 33)[9].

Il paragrafo sottolinea alla fine l’importanza della fraternità, cioè non svalutando le iniziative dei singoli frati nell’opzione per i poveri, ma sottolineando che questo impegno deve essere svolto in modo comunitario, con la dovuta obbedienza verso i propri ministri (cfr. 63, 3).        

Il numero 64 descrive la vita di povertà praticata dentro la fraternità cappuccina. Tutto quello che si possiede in modo personale o comunitario non può essere considerato come esclusiva proprietà dei singoli, ma un semplice uso per il servizio della fraternità. Tutti i frati devono essere rispettati con la medesima dignità, evitando ogni forma di privilegio (cfr. 64, 3). Nel sottofondo di questo paragrafo stanno le affermazioni del VII CPO: “Spogliamoci di ogni privilegio che possa scaturire dalla carica, dall’istruzione ricevuta, dal ministero presbiterale o da qualsiasi altro servizio che svolgiamo per il bene comune o del popolo di Dio” (VII CPO, 9). Il legislatore tiene conto che le costituzioni devono essere valide per la descrizione della vita di un Ordine mondiale, perciò si ricorda che la vita di povertà, perché sia testimonianza credibile, deve corrispondere ai diversi contesti sociali e culturali. Ciò che è segno di povertà in una parte del mondo può essere indice di lusso altrove (cfr. 64, 3)[10]

Saranno i ministri e i guardiani a dare il primo esempio di vita minoritica e in povertà (cfr. 65, 4). Invito e obbligo, dato ai superiori già presente nel Codice di diritto canonico:

I superiori attendano sollecitamente al proprio ufficio e insieme con i religiosi loro affidati si adoperino per costruire in Cristo una comunità fraterna nella quale si ricerchi Dio e lo si ami sopra ogni cosa. Diano perciò essi stessi con frequenza ai religiosi il nutrimento della parola di Dio e li indirizzino alla celebrazione della sacra liturgia. Siano loro di esempio nel coltivare le virtù e nell’osservare le leggi e le tradizioni del proprio istituto; provvedano in modo conveniente a quanto loro personalmente occorre; visitino gli ammalati procurando loro con sollecitudine le cure necessarie, riprendano gli irrequieti, confortino i timidi, con tutti siano pazienti (CIC, can. 619).  

L’ultimo numero del primo articolo precisa che la responsabilità circa l’osservanza fedele della povertà viene garantita dai Capitoli generali, provinciali o locali (cfr. 65, 1).    

Articolo II: La povertà riguardo ai beni e al denaro (n. 66-72)

Il secondo articolo di questo capitolo si concentra sull’aspetto molto concreto della vita di povertà, che sono i beni materiali e l’uso del denaro. L’uso adeguato dei beni materiali nella tradizione minoritica è stato sempre ben delineato. Le Costituzioni sottolineano che i beni sono necessari per la vita degli uomini e devono essere condivisi e “usati con senso di responsabilità verso le generazioni future” (72, 5). 

Il numero 66 ricorda quali sono state le intenzioni di Francesco quanto all’uso dei beni. Egli sapeva farne un giusto utilizzo nella predicazione e nella continua ricerca del Regno dei cieli. I frati minori non possono mai dimenticare le parole di san Francesco, ripetute adesso anche dalle Costituzioni, che dovrebbero vivere “pellegrini e forestieri in questo mondo” (66, 3; Rb 6, 1-2). 

Non è possibile condurre la vita di povertà senza una viva fede e fiducia nella Provvidenza divina (cfr. 67, 1). Le fonti di sostentamento dei frati indicati dalle Costituzioni sono le stesse previste da Francesco di Assisi, cioè il lavoro e, se questo non portasse i mezzi sufficienti, la questua: i frati possono rivolgersi con fiducia alla mensa del Signore, chiedendo agli uomini l’elemosina, come lo aveva previsto il Santo di Assisi[11] (cfr. 67, 3-4). Il Serafico Padre, seguendo le orme di Gesù, sin dall’inizio della sua conversione mendicava di persona[12]: ad esempio per la costruzione di chiesa di San Damiano[13]. Non fa meraviglia che abbia voluto condividere questa esperienza con tutti i suoi frati[14]. In questo contesto la riforma cappuccina sin dai suoi inizi fece della mendicità uno strumento non solo di sostentamento dei frati, ma di vera missione apostolica, ricordando però che il principale mezzo di sostentamento è il lavoro, come sottolinea il VI CPO:

Per secoli, fino ad oggi, i frati minori furono considerati e visti come un ordine mendicante. Però, sin dai tempi di Francesco d’Assisi, era sempre molto chiara l’idea che il mezzo principale del sostentamento dei frati non è la questua, ma il lavoro (VI CPO 14)[15]

I due numeri seguenti 68 e 69 toccano il tema del denaro, ricordando che Francesco fu molto chiaro a tal riguardo:

Comando fortemente a tutti i frati che in nessuno modo ricevano denari o pecunia, direttamente o per interposta persona (Rb 4, 1; Cost 2013: 68, 1). 

Le Costituzioni aggiungono subito che le mutate condizioni dei tempi rendono ora indispensabile l’uso del denaro, precisando però che il denaro sia “solo mezzo ordinario di scambio e di vita sociale necessario anche ai poveri” (68, 2). Interessante è la riflessione sulla povertà e sulla economia secondo le mutate condizioni dei tempi che ha fatto il VI CPO, mettendo in evidenza l’importanza della conoscenza delle “intenzioni” di Francesco e del valore della povertà evangelica:

Davanti al mondo «globalizzato» dell’economia, che fa sentire anche su di noi i suoi influssi, raffermiamo umilmente e con fede il valore della povertà evangelica come valida alternativa per il nostro tempo, secondo l’ispirazione originaria di Francesco e le linee portanti della tradizione francescano-cappuccina. Perciò accogliamo come opzione di famiglia la povertà evangelica, impegnandoci a ripensarla nuovamente (VI CPO 7).

Le Costituzioni dichiarano che i ministri e i guardiani sono responsabili della cura delle necessità dei frati, e i frati da parte loro devono rendere conto del denaro che è stato affidato a loro (cfr. 69, 1-2)[16]. Da notare che si fa riferimento a “norme stabilite in ogni circoscrizione” (69, 2), perciò di nuovo il legislatore sottolinea importanza delle decisioni prese nelle proprie province o circoscrizioni, perché le situazioni economiche variano tantissimo in tutto il mondo. 

Non solo il singolo frate non dovrebbe fare uso esclusivo dei doni o offerte ricevute da parenti o amici (cfr. 69, 4), ma anche l’intera fraternità dovrebbe testimoniare la vita in povertà. Si invita le province o le fraternità, secondo l’uso della gente modesta del posto, a depositare il denaro presso le banche, però con l’attenzione che le assicurazioni e i depositi bancari non portino i frati a una sicurezza e una garanzia di vita ben più tranquillizzante della divina Provvidenza (cfr. 70, 1-3). Le attuali Costituzioni hanno apportato alcune modifiche al testo precedente: non i superiori, soli, possono stipulare assicurazioni, ma “i ministri con il consenso del loro Consiglio” (70, 1). Nelle Costituzioni precedenti, sin da quelle approvate nel 1968, si diceva che era possibile depositare il denaro presso banche, anche con interesse limitato, mentre ora si dice “osservando quanto prescritto dal nostro diritto proprio” (70, 3). Saranno le Ordinazioni a stabilire norme dettagliate a tal riguardo (cfr. Ord. 4, 4-6). 

Il numero 71 riflette sul pericolo di ogni forma di cupidigia e di un eccessivo accumulo del denaro[17], perché coloro che si sforzano di essere i figli del Serafico Padre, non diventassero suoi “figli degeneri” (71, 4)[18]. Per evitare il vizio dell’accumulo e della cupidigia le Costituzioni ricordano il principio ben preciso adottato già dalle precedenti Costituzioni del 1968 (67, 3): “il minimo necessario, non il massimo consentito” (71, 3). Però, anche qui – lo ricordano le Costituzioni – che il principio indicato richiama sempre il criterio della inculturazione: “tale criterio sia attuato nei diversi contesti sociali in cui viviamo” (71, 3), cioè il minimo e il massimo non possono essere stabiliti se non in rapporto ad un preciso elemento socio-culturale, che faccia da parametro[19]

Un altro tema toccato in questo paragrafo sono i “beni non necessari” (71, 4), i quali dovrebbero essere consegnati ai ministri per le necessità della circoscrizione o dell’Ordine o distribuiti ai poveri (cfr. 71,5). Una riflessione su questa tematica è stata fatta già nel 1971 durante il Primo Consiglio Plenario dell’Ordine in Quito (Brasile), proponendo anche come gestire le nuove fraternità in America Latina: 

Affinché la povertà sia un contrassegno vero e manifestato, ed allo scopo di un inserimento concreto nell’ambiente latino-americano, si raccomanda ai frati che siano disposti a vendere ad opere ecclesiali o sociali, o anche donare spontaneamente per il bene di tutta la società, i nostri edifici, beni ed altre cose simili che non servono più all’uso della fraternità o non corrispondano più al nostro spirito (I CPO 11).

 

E poco più avanti ancora: 

I beni dell’Ordine, specialmente i terreni, gli orti e le costruzioni, che non sono più necessari, ed altri che per noi non sono convenienti, devono essere alienati oppure convertiti in uso sociale (I CPO 53).

Ultimo paragrafo di questo articolo si concentra sul tema della solidarietà, applicando le parole di san Francesco presenti al centro della regola dei frati Minori, cioè nel sesto capitolo della Regola Bollata[20]:

E ovunque sono e si incontreranno i frati, si mostrino tra loro familiari l’uno con l’altro. E ciascuno manifesti all’altro con sicurezza le sue necessità, poiché se la madre nutre e ama il suo figlio carnale, quanto più premurosamente uno deve amare e nutrire il suo fratello spirituale? (Rb 6, 7-8).

Questo frammento della Regola è molto importante per intendere bene le intenzioni di frate Francesco. Si può ipotizzare che un giorno, insieme con l’arrivo dei primi frati, il santo di Assisi si sia dovuto mettere davanti alla domanda sul tipo di formazione che voleva dare ai suoi compagni. Come trasmettere loro l’idea del servizio vicendevole, del lavare i piedi l’uno all’altro, di creare una comunità non gerarchica, ma minoritica. Sicuramente questa domanda è stata una delle più importanti del giovane Francesco: come educare i frati perché potessero e volessero rimanere minori, piccoli? La soluzione che trovò è stata sorprendente, molto semplice e famigliare. Il Serafico Padre ha indicato la figura della madre, unesperienza vicina e cara ad ogni uomo, madre che ama, nutre e serve i suoi figli. In una cultura in cui la figura di spicco nella costruzione della società e delle relazioni governanti, che vanno da quelli familiari, attraverso quelle ecclesiastiche e secolari, era figura del padre, Francesco compie una vera e propria rivoluzione e indica la madre come riflesso per abbracciare lo spirito di umiltà evangelica e di servizio.

Le Costituzioni sono molto chiare: la fraternità e l’amore vicendevole debbono essere per i frati un sostegno quotidiano: “impegniamoci con decisa volontà per il bene di tutti e di ciascuno, perché noi tutti siamo responsabili di tutti” (72, 2). Questo paragrafo fa eco alle parole di Giovanni Paolo II espresse nella lettera enciclica Sollecitudo rei socialis del 30 dicembre 1987, dove si definisce la solidarietà come: “una ferma e costante determinazione ad impegnarsi per il bene comune, cioè per il bene di tutti e di ogni singolo individuo, perché noi tutti siamo responsabili di tutti” (n. 38)[21]

 Gli ultimi due paragrafi di questo numero sono nuovi. Sono stati redatti con particolare riferimento ai nn. 21-28 del VI CPO e all’enciclica Sollicitudo rei socialis (n. 38), citata dallo stesso CPO. La solidarietà va espressa a tutti i fratelli e sorelle della Famiglia Francescana. Oltre a questo, le Costituzioni invitano alla promozione della cultura di condivisione tra tutti i popoli della terra (72, 4-5). 

 Articolo III: La povertà nelle nostre abitazioni (n. 73-74)

Un altro segno molto concreto di vita di povertà sono le nostre abitazioni. Questo articolo, forse uno dei più corti di tutto il testo delle Costituzioni, comprende solo due numeri. Il numero 73 è dedicato al tema delle abitazioni e il 74 parla delle nostre chiese e sacrestie. È interessante notare come le prime costituzioni dei Cappuccini, quelle del 1536, trattavano in tantissimi punti il tema della povertà delle nostre abitazioni (cfr. Cost 1536: 70-79). 

Per quanto riguarda le nostre abitazioni si sottolinea nuovamente importanza del contesto abitativo, che dovrebbe essere quello dei poveri della regione (cfr. 73, 2). Le Costituzioni invitano a vivere e a testimoniare la povertà secondo il criterio della pluriformità e della sana inculturazione, come si è detto anche durante il VI e VII CPO[22], per citare quest’ultimo:

Pensiamo che sia difficile comprendere il mondo attuale, immerso nella povertà, a partire da una posizione privilegiata come la nostra. Perciò, crediamo che camminare nella direzione della povertà sia un orientamento che può generare una vita nuova nell’Ordine. Ciò che richiede due cose: un cambiamento di luogo fisico che comporterebbe, come successe ai primi Cappuccini, di collocare le nostre case nella periferia della società con stile semplice e povero, e comporterebbe pure un cambiamento sociologico, che richiede di vivere lì non solo per accogliere i poveri, ma anche desiderando di essere accolti da loro[23]. Questo “battesimo dei poveri”, che Francesco ha ricevuto quando abbracciò il lebbroso, porta a stare tra i poveri come compagni di cammino, attivamente partecipi della loro liberazione. A questo scopo è auspicabile che le circoscrizioni dell’Ordine abbiano almeno una presenza di inserimento in luoghi di povertà e che una parte dei frati possa partecipare direttamente a istanze di solidarietà con i popoli impoveriti (VII CPO 49).

Come non ricordare in questa istante un parere simile, però espresso e vissuto cinquecento anni fa. Sono stati i primi frati cappuccini che vivendo da poveri, hanno messo per iscritto nelle Costituzioni di Eufemia, quello che volevano perché fosse seguito dai futuri frati, cioè che “abbiano per lo specchio le piccole case dei poveri” (Cost. 1536: 75):

Per evitare inoltre tutte quelle cose che potrebbero offendere la povertà, si ordina che i frati non si intromettano in nessun modo nelle costruzioni, tranne che per indicare a coloro ai quali saranno commessi lavori la povera forma del modello per sollecitarli e dar loro aiuto manuale. Si sforzeranno inoltre i frati, per quanto potranno, di fare quello che si può fare con vimini, fango, canne, mattoni crudi e materiale di poco valore, sull’esempio del nostro Padre e in segno di umiltà e povertà. Abbiano per loro specchio le piccole case dei poveri, non le moderne abitazioni (Cost. 1536: 75, 1-2).

La costante tradizione legislativa dell’Ordine di costruire le abitazioni dei frati come i poveri della regione significa anche che “la case siano adeguamento proporzionate alle reali necessità e impegni della fraternità” (73, 3). Si richiama di nuovo i frati allo scrutinum paupertatis, per verificare la corrispondenza delle nostre abitazioni alla vita comune della gente del posto[24]. In questo passaggio delle Costituzioni viene ricordato quello che è stato detto durante il VI CPO:

I frati devono vivere in questo mondo come pellegrini e forestieri. Pertanto incoraggiamo i fratelli a riesaminare se i loro luoghi abitativi attuali diano sufficientemente l’impressione del richiamo alla provvidenza divina e a verificare se i luoghi in cui dimorano sono proporzionati al numero dei fratelli e delle attività ivi svolte (VI CPO 38). 

Il secondo e ultimo numero di questo articolo parla delle chiese che “siano semplici, decorose e pulite” (75, 1) perché possano favorire al vita di preghiera dei frati e dei fedeli. Ugualmente le sagrestie “devono essere adeguate e sufficientemente provviste di suppellettile sacra” (74, 2). Le indicazioni sopra ricordano le ultime parole di Francesco raccolte dal suo Testamento: 

E voglio che questi santissimi misteri sopra tutte le altre cose siano onorati, venerati e collocati in luoghi preziosi. E i santissimi nomi e le parole di lui scritte, dovunque le troverò in luoghi indecenti, voglio raccoglierle, e prego che siano raccolte e collocate in luogo decoroso (T 11-12).

E ancora, lo stesso pensiero fu espresso da Francesco, però con una maggiore densità, sui paramenti per la santa Messa nella Prima lettera ai Custodi: 

Vi prego, più che se riguardasse me stesso, che, quando vi sembrerà conveniente e utile, supplichiate umilmente i chierici che debbano venerare sopra ogni cosa il santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo e i santi nomi e le parole di lui scritte che consacrano il corpo. I calici, i corporali, gli ornamenti dellaltare e tutto ciò che serve al sacrificio, debbano averli di materia preziosa. E se in qualche luogo il santissimo corpo del Signore fosse collocato in modo troppo miserevole, secondo il comando della Chiesa venga da loro posto e custodito in un luogo prezioso, e sia portato con grande venerazione e amministrato agli altri con discrezione (1 LCus 2-5)[25].

 Articolo IV: L’amministrazione dei beni (n. 75-77)

L’ultimo articolo di questo capitolo dedicato al tema dell’amministrazione dei beni, composto di tre numeri, è completamente nuovo e riflette un altro lato della vita di povertà, cioè trasparenza e corresponsabilità nell’amministrazione dei beni. In confronto con le Costituzioni precedenti, questo articolo prende in considerazione le riflessioni del VI e del VII CPO, come anche la viva animazione dell’Ordine seguita dal ministro generale fr. John Corriveau[26]. Anche il numero 76 sull’ufficio di economo è una novità rispetto alle Costituzioni precedenti.

Il numero 75, affermando che l’osservanza della povertà e della minorità è l’opzione fondamentale della nostra famiglia cappuccina, riporta le riflessioni del VI CPO a riguardo: 

[...] riaffermiamo umilmente e con fede il valore della povertà evangelica come valida alternativa per il nostro tempo, secondo [...]. Perciò accogliamo come opzione di famiglia la povertà evangelica, impegnandoci a ripensarla nuovamente (VI CPO 7).  

In altre parole, si può dire che una buona amministrazione dei beni riguarda l’intera fraternità, cioè crea una viva “economia fraterna”[27], e non semplicemente viene rivolta solo alla figura dell’economo. Sono stati usati tre aggettivi per descrivere una buona amministrazione: responsabile, precisa e oculata (cfr. 75, 1). A questo si devono aggiungere altri due aggettivi, che verranno menzionati poco più avanti: la trasparenza e la corresponsabilità fraterna. Negli ultimi decenni l’Ordine ha fatto tanta riflessione su questi valori. Il criterio di trasparenza è stato evidenziato particolarmente nel VI CPO: 

La vita fraterna esige trasparenza anche nelle amministrazioni locali, provinciali o dell’Ordine. Questa trasparenza inizia dal singolo fratello, continua nella fraternità locale ed ha il suo completamento nella Circoscrizione e cui appartiene la fraternità. La trasparenza esprime e facilita la fraternità e la solidarietà fra tutti i componenti dell’Ordine (VI CPO 30). 

Il principio di trasparenza viene seguito da quello di corresponsabilità. Le Costituzioni invitano tutti i frati ad essere partecipi e presenti nella vita fraterna, “affinché le decisioni, anche in ambito amministrativo, siano maturate insieme e condivise nella maniera più ampia possibile” (75, 3). Questo invito ripetono anche le Ordinazioni, affermando l’importanza che tutta la fraternità abbia parte attiva nelle scelte e nella verifica dell’amministrazione dei nostri beni (cfr. Ord 4, 12). La quotidiana e reale pratica della povertà è una importante novità nel continuo rinnovamento dell’Ordine dei Cappuccini[28].

Il legislatore è cosciente che i valori rinchiusi nella cosiddetta “economia fraterna” sono una nuova sensibilità per l’Ordine, acquisita sopratutto grazie alla riflessione dei ultimi decenni, e espressa nei documenti del VI e VII CPO, perciò diventa necessario trasmetterla ai frati già nella fase della formazione iniziale: “si ponga la dovuta cura affinché i frati acquisiscano la retta compressione dello spirito, dei principi e della pratica dell’economia fraterna, sin dal tempo della iniziazione” (75, 5). 

Il numero seguente si occupa della formazione, della responsabilità e della durata del mandato dell’ufficio dello economo. Le capacità che vengono richieste a un frate che verrà nominato dal rispettivo ministro con il consenso del suo Consiglio non si racchiudono solamente nelle competenze di pura economia, ma occorre, che questo ufficio venga esercitato “in coerenza con il nostro stile di vita” (76, 3)[29]

Prendendo in considerazione la delicatezza e soprattutto la responsabilità del compito, che diventa sempre più complesso e problematico, soprattutto lì dove le fraternità sono numerose e svolgono tante opere di apostolato e di vita pastorale, ci si conferma circa l’affidamento della amministrazione dei beni a “laici competenti”, specialmente quando “si tratta di opere sociali e caritative” (76, 5). 

Alla fine dell’articolo si ricorda che nei vari contratti vengano osservate le norme del diritto canonico e civili, come anche si faccia conto attentamente dei principi etici conformi alla dottrina sociale della Chiesa (cfr. 76, 7). Enorme aiuto per la riflessione sulla dottrina sociale della Chiesa viene dall’enciclica Caritas in veritate di papa Benedetto XVI. Ecco solo uno dei passaggi:

La grande sfida che abbiamo davanti a noi, fatta emergere dalle problematiche dello sviluppo in questo tempo di globalizzazione e resa ancor più esigente dalla crisi economico-finanziaria, è di mostrare, a livello sia di pensiero sia di comportamenti, che non solo i tradizionali principi dell’etica sociale, quali la trasparenza, l’onestà e la responsabilità non possono venire trascurati o attenuati, ma anche che nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità possono e devono trovare posto entro la normale attività economica. Ciò è un’esigenza dell’uomo nel momento attuale, ma anche un’esigenza della stessa ragione economica. Si tratta di una esigenza ad un tempo della carità e della verità (Caritatis in veritate 36; anche n. 45).

Ultimo numero del capitolo quarto, il numero 77, richiama nuovamente tutti i frati alla povertà interiore. Essa, già descritta all’inizio del capitolo, adesso viene arricchita invitando i frati alla accettazione delle privazioni, per non essere “dei falsi poveri, che amano essere poveri a condizione però che non manchi loro nulla” (77, 2). Questa espressione molto antica, viene presa dalle prime Costituzioni dei cappuccini, dove nel capitolo quarto si diceva:

 

Né intendiamo appartenere a quei falsi poveri, dei quali parla san Bernardo[30], che vogliono essere poveri a condizione che non manchi loro nulla (Cost 1536: 62, 2)[31].

 

La povertà non va ostentata per trarne vanto, ma va vissuta e testimoniata con semplicità. Quanti poveri del mondo soffrono delle privazioni e mancanze nella vita quotidiano. I frati cappuccini sull’esempio del Cristo, della beata Vergine Maria e di san Francesco possono grazie alla vita in povertà essere spogli di tutte le cose, diventando pienamente disponibili per la proclamazione del Regni di Dio (cfr. 77, 2. 4).   

  

Conclusione 

Nel 2023 i frati Minori, tutti insieme, come i figli di san Francesco celebrerano l’anniversario di 800 anni dalla approvazione della loro Regola da parte del papa Onorio III (20 novembre 1223). Mi sembra giusto concludere il commento a questo capitolo delle Costituzioni tornando a quel testo che tra poco verrà celebrato, in modo speciale al capitolo sesto della Regola bollata, dove il Serafico Padre nell’inno dedicato all’”altissima povertà” invitava i suoi fratelli a considerare seriamente il suo valore, perché essa, insieme con altre virtù, fa dei frati minori gli eredi del Regno dei cieli – fine ultimo della vita evangelica e minoritica, indicato anche dalle recenti Costituzioni dei cappuccini: 

Questa è la sublimità di quella altissima povertà che ha costituito voi, fratelli miei carissimi, eredi e re del regno dei cieli, vi ha fatti poveri di cose e vi ha innalzati con le virtù. Questa sia la vostra parte di eredità, che conduce nella terra dei viventi (cfr. Sal 141, 6). E aderendo totalmente a questa povertà, fratelli amatissimi, non vogliate possedere niente altro in perpetuo sotto il cielo, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo (Rb 6, 4-6). 

Hec est illa celsitudo altissime paupertatis, que vos, carissimos fratres meos, heredes et reges regni celorum instituit, pauperes rebus fecit, virtutibus sublimavit. Hec sit portio vestra, que perducit in terram viventium (cfr. Ps 141, 6). Cui, dilectissimi fratres, totaliter inherentes, nichil aliud pro nomine Domini nostri Jesu Christi in perpetuum Sun cielo habere velitis.

            Il punto di riferimento per l’intero brano è la “sublimità di quella altissima povertà”, tanto importante e suprema (altissima) perché “il Signore per noi si è fatto povero in questo mondo” (Rb 6, 3)[32]. L’azione o l’influenza della “altissima povertà” è stata descritta dall’espressione celsitudo,-inis che può essere tradotta come: “eccellenza”, “sublimità” “dignità”, “esaltazione”, “nobiltà”, termine che introduce nella realtà del bene, della bellezza, nell’esperienza di un certo idillio legato alla corte reale o al Regno dei cieli di cui si parlerà poco dopo. Essa conduce i destinatari dell’inno alla “terra dei viventi” in modo nobile, dignitoso, si potrebbe dire quasi cavalleresco. L’inno elenca alcuni frutti di questa sottile operazione della “altissima povertà”. Il primo è quello relativo all’escatologia, ma già sperimentato qui sulla terra, perché esso “ha costituito” i fratelli “eredi e re del regno dei cieli”. Indubbiamente, Francesco fa qui riferimento alla Lettera di san Giacomo: “Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano?” (Gc 2, 5). La povertà materiale liberamente accettata e vissuta nella sua pienezza spirituale e materiale, diventa una benedizione, introducendo nell’esperienza escatologica della Trinità. Inoltre, la povertà è lo strumento necessario per diventare erede e re del Regno dei cieli. Essa non possiede fine in se stessa, la povertà appare come uno strumento, il quale fa dei frati persone povere delle cose temporali, ma nello stesso tempo permette loro di sviluppare in se stessi la presenza delle virtù. Possedere la povertà è godere del possesso delle virtù, significa partecipare ora alla “vita del Cielo, dove regna il Padre, Figlio e lo Spirito santo”, come lo descrive Francesco nella Lettera a tutti i fedeli (cfr. 1 Lf 1, 1-14 e 2 Lf 48-56)[33]. L’inno dedicato all’altissima povertà sta al centro della Regola bollata quasi come è il cuore per il corpo umano, che introduce costantemente ossigeno e sostanze nutritive nel flusso sanguigno. Al centro di un documento così importante, Francesco ha richiamato l’essenza della sua vocazione, che è il Vangelo di Cristo, e in questo caso la povertà scelta dal Dio-Uomo e con essa la ricchezza delle virtù, che introduce i frati all’esperienza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, tre Persone divine, che sono veramente il Cielo[34].


[1] La letteratura dedicata al tema della povertà in Francesco di Assisi è immensa, indico solamente alcuni titoli: R. Manselli, La povertà nella vita di Francesco d’Assisi, in: La povertà del secolo XII e Francesco d’Assisi: Atti del II Convegno Internazionale della S.I.S.F., Assisi, 17-19 ottobre 1974, Assisi 1975, 255-282; Dalla “sequela Christi” di Francesco d’Assisi all’apologia della povertà: Atti del XVIII Convegno Internazionale, Assisi, 18-20 ottobre 1990, a cura di E. Menestò, Spoleto 1992; G. G. Merlo, Tra eremo e città. Studi su Francesco d’Assisi e sul francescanesimo medievale, S. Maria degli Angeli22007.

[2] Nella Lettera del 25 novembre 2008, il Ministro Generale Mauro Jöhri, rivolgendosi ai membri della Commissione per le Costituzioni, sottolineava che: “sono due verbi rispettare e arricchire, indicati dal Capitolo 2006, che delineano l’indole del lavoro da compiere e presentano un duplice criterio contenutistico e metodologico. [...]. Il testo vigente dovrebbe essere arricchito e aggiornato, ma senza compromettere i nuclei teologici-fondativi del nostro carisma e conservando il linguaggio e lo stile caratteristico delle nostre costituzioni”.

[3] Cfr. F. Polliani, Le nuove costituzioni dei frati minori cappuccini. Analisi e commento, Milano 2015, 137.

[4] Nella esortazione apostolica Vita consacrata Giovanni Paolo II diceva: “Il riferimento dei consigli evangelici alla Trinità Santa e santificante rivela il loro senso più profondo. Essi infatti sono espressione dell’amore che il Figlio porta al Padre nell’unità dello Spirito Santo. Praticandoli, la persona consacrata vive con particolare intensità il carattere trinitario e cristologico che contrassegna tutta la vita cristiana. [...]. La povertà confessa che Dio è l’unica vera ricchezza dell’uomo. Vissuta sull’esempio di Cristo che «da ricco che era, si è fatto povero» (2 Cor 8, 9), diventa espressione del dono totale di sé che le tre Persone divine reciprocamente si fanno. È dono che trabocca nella creazione e si manifesta pienamente nell’Incarnazione del Verbo e nella sua morte redentrice” (VC 21).

[5] Cfr. F. Polliani, Le nuove costituzioni dei frati minori cappuccini, 142.

[6] Decreto sul rinnovamento della vita religiosa Perfectae caritatis dava queste indicazioni ai religiosi in quanto la vita di povertà: “La povertà volontariamente abbracciata per mettersi alla sequela di Cristo, di cui oggi specialmente essa è un segno molto apprezzato, sia coltivata diligentemente dai religiosi e, se sarà necessario, si trovino nuove forme per esprimerla. Per mezzo di essa si partecipa alla povertà di Cristo, il quale da ricco che era si fece povero per amore nostro, allo scopo di farci ricchi con la sua povertà (cfr. 2 Cor 8,9; Mt 8,20). Per quanto riguarda la povertà religiosa, non basta dipendere dai superiori nell’uso dei beni, ma occorre che i religiosi siano poveri effettivamente e in spirito, avendo il loro tesoro in cielo (cfr. Mt 6,20). Nel loro ufficio sentano di obbedire alla comune legge del lavoro, e mentre in tal modo si procurano i mezzi necessari al loro sostentamento e alle loro opere, allontanino da sé ogni eccessiva preoccupazione e si affidino alla Provvidenza del Padre celeste (cfr. Mt 6,25)” (PC 13).

[7] Paolo VI, Una via difficile e perfetta. Allocuzione al Capitolo Generale dei Frati Minori Cappuccini del 21 ottobre 1968, in: Analecta OFMCap 84 (1968) 31.

[8] Le prime costituzioni dei Frati Minori Cappuccini. Roma - S. Eufemia 1536. In lingua moderna con nostre storiche ed edizione critica, a cura di F. A. Catalano, C. Cargnoni, G. Santarelli, Roma 1982, nr. 85, p. 53.

[9] Come non ricordare in questo momento le parole di Francesco scritte nella Regola non bollata: “E devono essere lieti quando vivono tra persone di poco conto e disprezzate, tra poveri e deboli, tra infermi e lebbrosi e tra i mendicanti lungo la strada” (Rnb 9, 2).

[10] Cfr. F. Polliani, Le nuove costituzioni dei frati minori cappuccini, 152.

[11] Da quando Francesco indicò come uno dei mezzi di sostentamento dei Minori anche l’elemosina ritenendola elemento essenziale della sequela Christi, ha demolito l’immagine di vita religiosa valida fino a quel momento. Il nuovo modo di condurre l’economia evangelica è stato accolto anche dai domenicani, che introdussero la mendicità nel loro stile di vita. I membri degli ordini mendicanti hanno cambiato significativamente la comprensione del voto di povertà. Compiendo ogni giorno il loro lavoro non chiedevano nessuna ricompensa fissa. Confidando nella Provvidenza divina, potevano come gli altri poveri chiedere elemosina, perché essa faceva parte del valore carismatico della vocazione dei Frati Minori.

[12] La Regola non bollata dedica al tema dell’elemosina tantissimo spazio: “Tutti i frati si impegnino a seguire l’umiltà e la povertà del Signore nostro Gesù Cristo, e si ricordino che di tutto il mondo, come dice l’apostolo, noi non dobbiamo avere nient’altro, se non il cibo e l’occorrente per vestirci, e di questo ci dobbiamo accontentare (cfr. 1 Tm 6, 8). [...]. E quando sarà necessario, vadano per l’elemosina. E non si vergognino, ma si ricordino piuttosto che il Signor nostro Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo (Gv 11, 27) onnipotente, rese la sua faccia come pietra durissima (Is 50, 7), né si vergogno. E fu povero e ospite, e visse di elemosine lui e la beata Vergine e i suoi discepoli. E quando gli uomini li facessero arrossire e non volessero dare loro l’elemosina, ne ringrazino Iddio, poiché per tali umiliazioni riceveranno grande onore presso il tribunale del Signore nostro Gesù Cristo. E sappiano che l’umiliazione è imputata non a coloro che la ricevono, ma a quelli che la fanno. E l’elemosina è l’eredità e la giustizia che è dovuta ai poveri; l’ha acquistata per noi il Signore nostro Gesù Cristo. E i frati che si affaticano per procurala avranno una grande ricompensa e la fanno guadagnare e acquistare a quelli che fanno elemosina: poiché tutte le cose che gli uomini lasceranno nel mondo, periranno, ma della carità e delle elemosine cha hanno fatto riceveranno il premio dal Signore” (Rnb 9, 1-9). Invece nella Regola bollata fu lasciato solamente quello che era essenziale: “E come pellegrini e forestieri (1 Pt 2, 11) in questo mondo, servendo al Signore in povertà e umiltà, vadano per l’elemosina con fiducia, e non si devono vergognare, perché il Signore per noi si è fatto povero in questo mondo” (Rb 6, 2-4).

[13] E se anche qualche volta alla pratica della mendicità si associava la vergogna, oppure negazione e rifiuto, frate Francesco riteneva queste esperienze apparentemente negative come una manifestazione della bontà di Dio per la quale il fratello minore dovrebbe poter rendere grazie (cfr. Rnb 9, 6). Ricordava ai confratelli, che Gesù Cristo stesso ha dato ai poveri il diritto di raccogliere l’elemosina: “E fu povero [Gesù] e ospite, e visse di elemosine lui e la beata Vergine e i suoi discepoli” (Rnb 9, 5). Il santo di Assisi chiamava questa occupazione lavoro, e a chi vi si dedicava prometteva una ricompensa da parte del Signore, perché i frati mendicanti aiutano anche i loro benefattori a ricevere retribuzione eterna. Alla fine tutto passa, compresa la ricchezza; “della carità e delle elemosine cha hanno fatto riceveranno il premio dal Signore” (Rnb 9, 5).

[14] Lo sviluppo dei cosiddetti ordini mendicanti fu così rapido che nel 1274 al Concilio di Lione II si decise di abolirli, lasciando in vita solo Ordine dei Frati Minori e Ordine dei Predicatori. Il Consiglio ha motivato la sua decisione in questo modo: “Un concilio generale (Lateranense IV, c. 13), con una ben ponderata proibizione ha cercato di evitare l’eccessiva diversità degli ordini religiosi, causa di confusione. Ma l’importuno desiderio dei richiedenti in seguito ha quasi estorto il loro moltiplicarsi e la sfacciata temerarietà di alcuni ha prodotto una incontrollata moltitudine di nuovi ordini, specie mendicanti, ancor prima di aver ottenuto un’approvazione di principio. Rinnovando la costituzione, proibiamo severamente a chiunque per il futuro di istituire un nuovo ordine o una nuova forma di vita religiosa, o di prendere l’abito in un nuovo ordine. Proibiamo per sempre tutte, assolutamente tutte, le forme di vita religiosa e gli ordini mendicanti sorti dopo quel concilio, che non abbiano la conferma della sede apostolica e sopprimiamo quelli che si fossero diffusi. […]. Non vogliamo tuttavia che la presente costituzione si applichi agli ordini dei Predicatori e dei Minori, la cui evidente utilità per la chiesa universale è testimoniata dall’approvazione” (Decreto II/23), cfr. Enchiridion della Vita Consacrata. Dalle Decretali al rinnovamento post-conciliare (385-2000), edizione bilingue, a cura di E. Lora, Bologna 2001, 75.

[15] Di più su questa tematica: W. Block, I Consigli plenari e la “grazia del lavoro”. Sussidio per la riflessione, in ”La grazia di lavorare”. Lavoro, vita consacrata, francescanesimo, a cura di P. Martinelli, M. Melone, EDB, Bologna 2015, 321-352.

[16] Il Codice di diritto canonico ricorda del obbligo dei religiosi della dipendenza e la limitazione nell’uso dei beni: “Il consiglio evangelico della povertà, ad imitazione di Cristo che essendo ricco si è fatto povero per noi, oltre ad una vita povera di fatto e di spirito da condursi in operosa sobrietà che non indulga alle ricchezze terrene, comporta la dipendenza e la limitazione nell’usare e nel disporre dei beni, secondo il diritto proprio dei singoli istituti” (CIC 600).

[17] Gli scritti di san Francesco mostrano in quanto Egli fosse contrario alla cupidigia e alla avarizia. Nel Saluto alle virtùdiceva: “la santa povertà confonde cupidigia e l’avarizia e le preoccupazioni del secolo presente” (Salvir 11), invece nella Ammonizione 27 si legge: “Dove è povertà con letizia, ivi non è cupidigia né avarizia” (Am 27, 3). 

[18] L’espressione “figli degeneri” è stata cognata da Tommaso da Celano nel 1249 quando nel Memoriale trattava della relazione tra i frati Minori e i frati Predicatori. A metà del XIII secolo i figli di san Francesco spesso non erano concordi con i figli di san Domenico a causa di vari motivi, in particolare a proposito delle stimmate del Serafico Padre.  Il Celano cercò il modo di far riflettere ambedue gli Ordini e far loro ritrovare una via di amore e di unità, quella stessa nella quale avevano vissuto i loro fondatori: “Che cosa ne dite, voi figli dei santi? La gelosia e l’invidia provano che siete figli degeneri, e non meno l’ambizione degli onori dimostra che siete spuri. Vi mordete e divorate a vicenda. Ma la guerra e le liti non provengono che dalle passioni. Voi dovete lottare contro le potenze delle tenebre, avete una dura battaglia contro gli eserciti dei demoni, e invece vi combattete a vicenda. I padri si guardano con affetto, pieni di saggezza, con la faccia rivolta verso il propiziatorio. I figli invece, pieni di invidia, trovano gravoso solo vedersi. Che cosa farà il corpo, se ha il cuore diviso? Certamente l’insegnamento della pietà cristiana porterebbe nel mondo intero maggior frutto, se un vincolo più forte di carità unisse i ministri della parola di Dio. Perché, a dire il vero, ciò che diciamo o insegniamo è reso sospetto da questo soprattutto, che in noi segni evidenti rendono palese un certo lievito di odio. So pure che non sono in causa i giusti, che vi sono dall’una e dall’altra parte, ma i malvagi. E a buon diritto crederei che si dovrebbero estirpare perché non corrompano i santi” (Mem 149: FF 733). Sono davvero le parole di fuoco dell’autore, mosso dalla fiamma di concordia e unità, che coinvolge non solo l’Ordine minoritico e quello dei Predicatori, ma con questi tutta la Chiesa, che egli vorrebbe vedere camminare unita, per il bene di tutti. Invece le liti dilaniano gli Ordini al loro interno e la Chiesa è rosa da lotte e invidie tra il clero secolare e i vari Ordini religiosi. Tutto questo, poi, per smanie di grandezza, di gloria, di ambizione, mentre i padri fondatori trionfarono nell’umiltà, nell’unione e non nelle gelosie reciproche.

[19] Cfr. F. Polliani, Le nuove costituzioni dei frati minori cappuccini, 157.

[20] Un pensiero simile è presente anche nella Regola non bollata: “E con fiducia l’uno manifesti all’altro la propria necessità, perché l’altro gli trovi le cose che gli sono necessarie e gliele dia. E ciascuno ami e nutra il suo fratello, come la madre ama e nutre il proprio fratello, in quelle cose in cui Dio gli darà grazia” (Rnb 9, 11).

[21] Nella stessa direzione fanno le riflessioni fatte da VI CPO: “la solidarietà non è prima di tutto dare cose agli altri, me è interdipendenza vicendevole e fraterna. La cultura della solidarietà crea nuovi modi di intendere e di vivere i rapporti con gli altri. Francesco, andando tra i lebbrosi, cambiò il suo modo di rapportarsi con loro. Per essere solidali, ci si deve prendere cura di ogni fratello, soprattutto di coloro che sono esclusi dalla condivisione dei beni della società; in ascolto del grido dei poveri, dobbiamo operare perché la solidarietà globale diventi un nuovo ordine sociale (VI CPO 21-22). 

[22] Cfr. F. Polliani, Le nuove costituzioni dei frati minori cappuccini, 163.

[23] Cfr. J. Corriveau, «Vai dai miei fratelli». Scelte per un mondo più fraterno. Lettera circolare n. 24 (22 maggio 2005), 3, 3.

[24] Si vede anche le parole di papa Giovanni Paolo II espresse nella Vita consecrata: “La Chiesa universale è sommamente grata per il grande contributo da essi offerto alla sua edificazione con la testimonianza ed il servizio. L’affanno di oggi non annulla i loro meriti e i frutti maturati grazie alle loro fatiche. Per altri Istituti si pone piuttosto il problema della riorganizzazione delle opere. Tale compito, non facile e non raramente doloroso, esige studio e discernimento, alla luce di alcuni criteri. Occorre, ad esempio, salvaguardare il senso del proprio carisma, promuovere la vita fraterna, essere attenti alle necessità della Chiesa sia universale che particolare, occuparsi di ciò che il mondo trascura, rispondere generosamente e con audacia, anche se con interventi forzatamente esigui, alle nuove povertà, soprattutto nei luoghi più abbandonati” (VC 63).

[25] Di più sulla tematica della cura e pietà eucaristica di Francesco d’Assisi vedi: F. Neri, «Miei signori, figli e fratelli». San Francesco d’Assisi e i sacerdoti, EDB, Bologna 2010.

[26] Qui si pensa anche delle lettere circolari di fr. John Corriveau, soprattutto le due: Solidarietà e interdipendenza. Lettera circolare n. 15 (1 novembre 1999) e La fraternità evangelica in un mondo che cambia. Identità, Missione, Animazione. Lettera circolare n. 20 (31 marzo 2002).

[27] Afferma il ministro generale fr J. Corriveau: “L’espressione «economia fraterna» non compare nelle proposizioni del VI CPO; è sorta dalle riflessioni venute dopo il Consiglio Plenario. Un’«economia fraterna» dà priorità alla comunione invece che all’ammassare ricchezze e proteggerle. L’«economia fraterna» include quattro scelte di principio delineate dal VI CPO: trasparenza, partecipazione, equità e solidarietà. Non parlerò di queste scelte, giacché le ho già descritte in altre Lettere circolari (Lett. circ. 14-17). Il VII CPO aggiunge un quinto elemento dell’economia fraterna: l’austerità. Desidero ora parlare appunto del ruolo dell’austerità nell’economia fraterna, cfr. J. Corriveau, «Vai dai miei fratelli». Scelte per un mondo più fraterno, 6, 1.

[28] Per approfondire il tema della amministrazione die beni in quanto trasparenza e corresponsabilità si veda le riflessioni proposte da ministro generale fr. John Corriveau: La grazia di lavorare. Riflessioni sul VI CPO. Lettera circolare n. 17 (3 marzo 2000) e «Vai dai miei fratelli». Scelte per un mondo più fraterno. Lettera circolare n. 24 (22 maggio 2005). 

[29] Il VI CPO proponeva: “Si organizzino corsi per preparare adeguatamente frati che sappiano unire insieme competenza nell’amministrazione economica moderna e coerenza con il nostro stile di vita (VI CPO 41), cfr. anche le Ordinazioni 4, 11. 

[30] Bernardus Claraevallensis, Sermo IV de Adventu: Pl 183, 49s.

[31] Anche nella edizione delle Costituzioni del 1925 viene ripetuta questa espressione: “E non vogliamo essere di quei falsi poveri, dei quali dice san Bernardo, che vogliono essere poveri a condizione che non manchi loro cosa alcuna; e devono pensare che l’evangelica povertà e la sua perfezione principalmente consistono in non avere affetto a cosa terrena, ed in usar queste cose del mondo parcissimamente, quasi per forza e costretti dalla necessità [...]” (Cost 1925: 89).

[32] Cfr. F. Costa, L’interpretazione del capitolo VI della Regola bollata nel mutare dei tempi, in: Miscellanea Francescana111 (2011) 367.

[33] Vita del cielo o vita nel cielo, è uno dei temi della Lettera a tutti i fedeli. Grazie alla vita di penitenza evangelica, il cuore del credente viene trasformato nell’habitaculum et mansionem dello Spirito Santo, il che favorisce di creare sempre di più le nuove e dinamiche relazioni con ogni persona della Trinità. Francesco non solo si ferma davanti alla descrizione di questi profondi vincoli, ma esprime e espone la sua gioia che si fonda proprio su questa esperienza: “Oh, come è glorioso, santo e grande avere in cielo un Padre! Oh, come è santo, fonte di consolazione, bello e ammirabile avere un tale Sposo! Oh, come è santo e come è caro, piacevole, umile, pacifico, dolce, amabile e desiderabile sopra ogni cosa avere un tale fratello e un tale figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, il quale offri la sua vita per le sue pecore, e pregò il Padre dicendo” (1 Lf 11-13). Questo grido di gioia viene ripetuto tre volte – in onore del Padre, del Figlio e Spirito Paraclito.

[34] Cfr. C. Vaiani, Nuclei centrali della Regola bollata di s. Francesco per il cammino spirituale, in: Italia francescana 84 (2009) 89-113.

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